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MALATTIA CELIACA E MALATTIE AUTOIMMUNI: TUTTA COLPA DI UN VIRUS?


Abbiamo già segnalato, sulla nostra pagina di Facebook, un articolo apparso su Science, che è stato molto apprezzato. Essendo L’originale in inglese, ve ne offriamo una sintesi annotata, perché riteniamo possa essere molto interessante per capire non solo la malattia celiaca, ma anche molte situazioni in cui viene a determinarsi una risposta autoimmune.

Inoltre, la Medicina Funzionale cerca sempre di dare una spiegazione ai sintomi e ai fenomeni che avvengono nell'organismo, e questo rappresenta un ulteriore passo importante di conoscenza.

Una infezione da reovirus, un agente virale relativamente innocuo, può interferire con la tolleranza verso gli antigeni alimentari e iniziare lo sviluppo — se non direttamente essere causa — della malattia celiaca in individui geneticamente suscettibili. Sono dati che derivano da studi sui topi. I risultati, pubblicati il 6 aprile sulla prestigiosa rivista Science, possono avere implicazioni per la prevenzione della malattia celiaca e di molte malattie autoimmuni.

In un comunicato stampa dell’università, l’autore principale dello studio, il Dr. Bana Jabri, M.D., Ph.D., del Centro per la Celiachia dell’Università di Chicago, nell’Illinois ha affermato: "Durante il primo anno di vita, il sistema immunitario è ancora immaturo, quindi, in un bambino con un particolare background genetico, il subire l’infezione da un virus particolare, in quel momento delicato della vita, può lasciare una sorta di cicatrice che avrà poi conseguenze a lungo termine. Ecco perché crediamo che non appena avremo più studi, potremmo ragionare sulla possibilità che debbano essere vaccinati i bambini ad alto rischio di sviluppare la malattia celiaca”.

La malattia celiaca nasce da una reazione autoimmune altamente specifica verso peptidi derivati da proteine del glutine contenuto nella dieta. Colpisce 1 su 100 persone in tutto il mondo che hanno le varianti DQ2 o DQ8 degli antigeni leucocitari umani, che possono orientare una risposta immunitaria mediata dai linfociti T helper 1 (TH1) contro le proteine del glutine contenute nel frumento, ma anche nell’orzo e nel malto. Solo dal 3% al 4% delle persone con questi genotipi che mangiano glutine svilupperanno la malattia celiaca.

Il recente aumento della prevalenza della malattia celiaca e delle intolleranze alimentari e delle allergie ha fatto ipotizzare che potrebbe essere un fattore ambientale il collegamento fra queste condizioni. Inoltre, il fatto che popolazioni geneticamente simili possono avere incidenze completamente differenti della malattia celiaca sostiene un'ipotesi ambientale. Studi epidemiologici hanno associato parecchi virus comuni con il successivo sviluppo della malattia celiaca, compresi rotavirus, adenovirus, gli enterovirus e il virus dell'epatite C. Un’analisi della sequenza dei fatti suggerisce anche un ruolo per un'influenza ambientale: i bambini cominciano tipicamente a mangiare cereali alle età di 6 mesi, un momento nel quale la protezione immune materna diminuisce e il sistema immunitario del bambino incontra un numero elevato di virus.

Questa nuova ricerca utilizza un approccio sperimentale che necessitava da lungo tempo e che collega il comune ma poco conosciuto reovirus, che non causa assolutamente alcun sintomo, o sintomi minimali, con la malattia celiaca a sviluppo tardivo. Il meccanismo che Romain Bouziat, PhD, un ricercatore post-dottorato presso l'Università di Chicago e i suoi colleghi hanno dedotto da esperimenti in topi supporta l'associazione epidemiologica delle infezioni virali con la comparsa successiva della malattia celiaca negli esseri umani.

I ricercatori hanno esaminato le risposte immunitarie di topi nutriti con glutine e infettati con uno dei due reovirus che differiscono per diversi aspetti, tra cui il tropismo verso l'intestino tenue. Il ceppo 1Lang (T1L) infetta naturalmente l'intestino. Un secondo ceppo (tipo 3 Dearing, o T3D) non infetta naturalmente l'intestino, ma i ricercatori hanno progettato una variante del T3D che lo fa (T3D-RV).

Entrambi i ceppi virali hanno evocato una risposta TH1 nelle placche di Peyer, così come una risposta anticorpale, ma il ceppo T1L ha avuto un effetto più forte alterando anche l’espressione genica nelle cellule dendritiche che sono coinvolte nella tolleranza agli antigeni alimentari. Successivi esperimenti nei topi hanno confermato che l'interazione tra il ceppo T1L del reovirus e il sistema immunitario blocca la tolleranza agli antigeni dietetici dei peptidi del glutine e lancia, invece, una risposta autoimmune patogena TH1.

Per esaminare il collegamento possibile negli esseri umani, i ricercatori hanno confrontato 160 persone con la malattia celiaca, alcuni delle quali seguivano una dieta priva di glutine, con 73 pazienti di controllo. Le persone con la malattia celiaca presentavano titoli anticorpali significativamente più elevati anti-reovirus che le persone senza malattia celiaca.

Inoltre, gli individui con la malattia celiaca che erano a dieta glutine-free e avevano i titoli degli anticorpi anti-reovirus elevati, presentavano anche elevati i livelli di fattore di regolazione dell'interferone-1, che induce le cellule dendritiche a produrre le citochine che evocano l'immunità TH1 inappropriata. Anche se l'aumento nei livelli degli anticorpi e del fattore di regolazione dell'interferone 1 non erano lineari, i ricercatori ipotizzano che il fattore regolatore dell'interferone-1 serva come un "segno indelebile" sul sistema immunitario che rivela un rischio aumentato per la malattia celiaca.

I ricercatori raggiungono la conclusione affermando che "i virus capaci di suscitare risposte immunitarie pro-infiammatorie agli antigeni alimentari alterano l'omeostasi immunitaria e, in particolare, legano cellule dendritiche con proprietà pro-infiammatorie a siti dove viene indotta tolleranza orale". Invitano a intensificare le ricerche per l'identificazione di altri virus che possano modificare la tolleranza orale di antigeni alimentari e allo sviluppo di un vaccino per prevenire la malattia celiaca e forse altre condizioni autoimmuni.

Un commento di Elena F. Verdu, MD, PhD e Alberto Caminero, PhD, dall'Università di McMaster inserisce i risultati nel contesto delle informazioni sul microbioma umano. Scrivono: "Lo studio di Bouziat et al. pone l’accento sull'importanza di componenti microbiche come ulteriori trigger ambientali nello sviluppo di malattie croniche infiammatorie e autoimmuni." I Dr Verdua e Dr Caminero sottolineano anche i "tre fattori responsabili dello sviluppo di reazioni avverse ad antigeni dietetici: l'antigene che innesca la risposta immune disadattiva, l’ambiente microbico e il substrato genetico."

Gli editorialisti e gli investigatori richiedono speciale attenzione alle comuni infezioni virali considerate innocue, perché i loro effetti sono subclinici, in quanto questi virus possono impostare il terreno per la malattia celiaca futura e forse altre circostanze autoimmuni.

Questo è un buon punto di partenza: infezione virale, alterazioni del microbioma, attivazione del sistema immunitario, di conseguenza un aumento della permeabilità intestinale (leaky gut), così il cerchio si chiude!

Buona salute!

Chiara Saggioro, D.Sci, Ph.D

Alfredo Saggioro, M.D.

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